La ladra della Primavera by Marina Fiorato

La ladra della Primavera by Marina Fiorato

autore:Marina Fiorato [Fiorato, Marina]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: LavyHD, Biblioteca Kindle
editore: LavyHD
pubblicato: 2012-02-01T23:00:00+00:00


PARTE QUINTA

Di nuovo Firenze, luglio 1482

26

Festeggiai il ritorno a Firenze sporgendomi dal Ponte Vecchio per vomitare nell’Arno.

Il terrore mi si era aggrappato allo stomaco come un nano malefico fin da quando avevamo cominciato a scendere a valle e, non appena avevamo iniziato ad attraversare il fiume per entrare nella mia città, ero stata costretta a chiedere al re di fermare la carrozza per consentire alla paura di saltarmi fuori dalla bocca.

Quando mi appoggiai al parapetto, debole e svuotata, notai tre cose.

Prima: tutto era ancora bellissimo, solo che adesso mi faceva paura. Il vecchio ponte era di un’ambra meravigliosa all’ultimo sole, eppure io vedevo solo assassini appostati sotto le arcate. La cupola con la palla di rame del Duomo svettava ancora sulla città, ma adesso sembrava un calice avvelenato, pronto a versare il suo liquido mortale e coprire di male ogni pietra e ogni sasso. Eravamo andati alla ricerca del Sacro Calice in tanti luoghi ed eravamo tornati a casa per trovare la coppa ormai corrotta. Le rondini e i gabbiani innocenti che volavano intorno alla cupola erano ora nibbi e taccole in cerca di carogne.

Seconda: l’Arno mandava lo stesso profumo tuttavia, tra le sue correnti di zaffiro, notavo solo i cadaveri gonfi dei criminali freschi di patibolo, buttati nel fiume al Rubaconte, dove venivano fustigati e impiccati. Un tizio morto si rigirò e scivolò via, guardandomi con una faccia bianca e senza occhi. Presto gli avrei nuotato accanto? Disgustata, distolsi lo sguardo dal fiume e notai che:

Terza: fratello Guido, sceso anche lui dalla carrozza, in uno slancio di solidarietà si era piegato sull’arco accanto al mio e vomitava.

Eravamo a casa.

Esausti e con gli occhi cerchiati, ci guardammo l’un l’altra e tornammo alla carrozza. Lui mi aiutò a salire e facemmo del nostro meglio per sopportare i toni gentili e preoccupati dei nostri regali ospiti, ascoltammo un elenco di rimedi per gli attacchi di brividi, e rifiutammo gentilmente la proposta di bruciarci una piuma sotto il naso. Sapevano che fratello Guido non stava bene, perché non aveva detto una parola né mangiato un boccone da quando avevamo lasciato Roma. Furono dispiaciuti di notare che avevo contratto il suo stesso male e si augurarono che mi rimettessi per le nozze del giorno successivo. Al che ci mancò poco che vomitassi di nuovo.

Quella era fifa, fifa blu, che mi agguantava la pancia; non c’era possibilità che il mio amico mi avesse attaccato il male che lo affliggeva. Lui soffriva perché aveva rinunciato alla vita terrena e persino alla sua eredità, solo per scoprire che la Chiesa cui lui si era interamente donato era corrotta, malata e marcia dalla testa ai piedi, come un pesce puzzolente, e non era certo un tormento contagioso. Solo io sapevo cosa lo addolorava, il fatto che, a Roma, aveva esalato tutta la sua fede in un unico, lungo respiro. Se durante il tragitto da Napoli non aveva mai smesso di mormorare preghiere, ora durante il ritorno non ne aveva recitata nemmeno una. Era rimasto muto come un pesce. Quasi quasi avrei pregato io per lui.



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